In questo articolo parleremo di ferie, congedi e permessi dei lavoratori dopo l’entrata in vigore del Decreto “Cura Italia”.
L’utilizzo di ferie in fase di emergenza da COVID-19
A quel punto però si è posto un problema: la legittimità del potere unilaterale del datore di lavoro di collocare in ferie forzate i dipendenti, visto che questo cozza con le disposizioni ordinarie che presidiano la regolazione del diritto alle ferie (e quindi con l’art. 2019 cod. civ. e con l’art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003).
Infatti, secondo queste disposizioni, se da un alto è il datore di lavoro a dover “preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie” (cfr. art. 2109 cod. civ.), è altrettanto vero che la contrattazione collettiva applicata in azienda tende a tutelare gli interessi in gioco, determinando un piano di ferie che è frutto di un contemperamento tra esigenze del datore ed esigenze del lavoratore. La legge inoltre riconosce al lavoratore la possibilità di richiedere il godimento di almeno due settimane di ferie (cfr. art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003).
Facciamo chiarezza per evitare equivoci: in questo momento di emergenza sanitaria, il Governo ha raccomandato al datore di promuovere congedi e ferie ma non ha di certo legittimato il datore a imporre le ferie unilateralmente.
Premesso ciò, il ricorso a questi istituti va sempre gestito di comune accordo tra datore e lavoratore (o con le organizzazioni sindacali dei lavoratori), onde evitare un utilizzo improprio, se non addirittura illegittimo, da parte del datore.
Sul punto, il Tribunale di Pordenone (sentenza n. 121 del 2016) ha ritenuto illegittime le c.d. ferie forzate perché non è stata inviata una comunicazione preventiva né è stato espletato un esame congiunto con l’interlocutore sindacale.
Quindi, in questo momento di emergenza sanitaria, da una lettura e una prima interpretazione del DPCM, osserviamo quanto segue:
- Se è il lavoratore a chiedere le ferie, la concessione delle ferie è legittima (ed è in sintonia con il DPCM).
- Se è il datore di lavoro a chiedere la disponibilità dei lavoratori a farsi collocare in ferie, tale condotta è lecita (ed è in sintonia con il DPCM) perché richiede comunque un accordo e quindi il dialogo con le parti interessate (singolo lavoratore o sindacato).
- Se è il datore a collocare unilateralmente il dipendente in ferie che costui non ha ancora maturato, la condotta del datore non è legittima.
- Se è il datore a collocare unilateralmente il dipendente in ferie che costui ha già maturato (in anni pregressi), ma di cui non ha ancora usufruito, la condotta del datore è legittima.
Questa ci pare l’interpretazione più attendibile e che troverebbe conferma anche:
- nel Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 1° agosto 2014, n. 83473 (che impone all’impresa “allo scopo di fruire dei trattamenti di integrazione salariale in deroga” di utilizzare preventivamente “gli strumenti ordinari di flessibilità, ivi inclusa la fruizione delle ferie residue” (art. 2, comma 8), ovviamente già maturate dal lavoratore negli anni precedenti e non ancora godute. In tutte le altre ipotesi, invece, andrebbe tenuto in debito conto il quadro normativo delineato;
- nella circolare INPS 27 maggio 2015, n. 107 che definisce ferie residue e maturate “quelle residue dell’anno precedente e quelle maturate fino alla data di inizio delle sospensioni”.
Utilizzo di congedi in fase di emergenza da COVID-19
La norma, per come è scritta, sembrerebbe prima esortare i datori a verificare preventivamente la possibilità di ricorrere allo smart working e solo qualora questa modalità non sia possibile, ripiegare sulla promozione (e non sull’imposizione) del congedo ordinario.
Alla data di entrata in vigore del DPCM dell’8 marzo 2020, il quadro normativo di riferimento (D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 o Testo Unico per il sostegno alla maternità) prevede che i lavoratori e le lavoratrici possano usufruire di periodi di congedo per maternità e/o paternità (c.d. periodo di astensione obbligatoria) e di periodi di congedo facoltativi (i c.d. congedi parentali o per malattia del figlio).
Più dettagliatamente, alla lavoratrice-madre è riconosciuto un periodo di astensione obbligatoria durante il periodo di gravidanza e puerperio (cfr. art. 2, comma 1 T.U.); lo stesso periodo è concesso, in alternativa, al lavoratore-padre (art. 28, comma 1, T.U.), anche qualora la madre sia una lavoratrice autonoma (art. 28, comma 1-bis, T.U.; trattasi del c.d. congedo di paternità sostitutivo).
Oltre al periodo di congedo obbligatorio, è previsto un ulteriore periodo di astensione facoltativa della lavoratrice o del lavoratore, denominato congedo parentale. In questo caso, i genitori possono astenersi in alternativa o contemporaneamente e l’astensione del padre non è condizionata al diritto di astensione della madre ed alla relativa rinunzia (art. 32, comma 4 T.U.). Il periodo di congedo, sia obbligatorio che facoltativo, è indennizzato sia pure con percentuali variabili rispetto alla retribuzione percepita, in relazione al caso concreto (v. sempre art. 34 T.U.).
Inoltre, sia la lavoratrice-madre che il lavoratore-padre possono, alternativamente, astenersi dal lavoro a causa della malattia del figlio.
Il Testo Unico (cfr. art. 47-50 T.U.) prevede che se il figlio ha un’età compresa tra 0 e 3 anni, il periodo di congedo non ha limiti di tempo; mentre se il figlio ha un’età compresa tra i 3 e gli 8 anni, è riconosciuto un periodo di congedo di 5 giorni lavorativi all’anno.
Il periodo di congedo matura in relazione alla malattia di ciascun figlio. Le assenze per malattia del figlio non sono retribuite, salvo condizioni di miglior favore previste dai contratti collettivi di qualsiasi livello. Le astensioni sono considerate periodo utile per la maturazione dell’anzianità di servizio e non incidono sulla maturazione delle ferie e sull’accantonamento della tredicesima mensilità.
Premesse queste norme, consideriamo che il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, ha introdotto delle misure speciali in materia di congedi.
In relazione a quanto contenuto all’art. 23, comma 1 del decreto, è previsto che a decorrere dal 5 marzo 2020, in conseguenza dei provvedimenti di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado disposta dal DPCM 4 marzo 2020, è riconosciuto ai dipendenti delle imprese private (alternativamente, alla madre o al padre, anche se affidatari) un periodo di congedo continuativo o frazionato comunque non superiore a 15 giorni, finalizzato ad assistere i figli con età non superiore ai 12 anni (questo limite non opera nei casi in cu vi sia un figlio con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1 , della legge 5 febbraio 1992, n. 104 e iscritti a scuole di ogni ordine e grado o ospitati in centri diurni a carattere assistenziale; cfr. art. 23, comma 5).
In questo periodo, è riconosciuta al lavoratore un’indennità pari al 50% della retribuzione.
È garantita comunque la contribuzione (anche se figurativa).
Inoltre, la norma prevede che ai lavoratori che alla data del 5 marzo 2020 sono in periodo di congedo parentale ai sensi dell’art. 32 e ss. del Testo Unico (D.lgs. 26 marzo 2001, n. 51), questo viene convertito in automatico nel congedo di natura speciale istituto con il decreto, con diritto all’indennità e senza che tale periodo venga computato come congedo parentale (art. 23, comma 2). Questo significa che il lavoratore può fruire poi dell’ulteriore periodo di congedo parentale, disciplinato dal Testo Unico, se ne ha i requisiti.
Questa norma vale anche per i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS, con una diversa modulazione dell’indennità.
L’art. 23, comma 6 precisa che un periodo di congedo non retribuito (e senza che via il riconoscimento della contribuzione figurativa) è riconosciuto ai lavoratori del settore privato con figli minori di età compresa tra i 12 e i 16 anni, per i quali siano stati sospesi i servizi educativi, purché nel nucleo familiare vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa.
In alternativa al congedo, il decreto prevede la possibilità per i lavoratori dipendenti e autonomi (in questo caso anche quelli non iscritti alle gestioni previdenziali dell’INPS) di beneficiare di un bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting, nel limite complessivo di 600 euro da utilizzare nell’arco dei 15 giorni, a decorrere dal 5 marzo 2020 (art. 23, comma 8).Idem per i dipendenti della Pubblica Amministrazione, sia pure con qualche variazione (art. 25)
Utilizzo di permessi di cui alla Legge 104/92 in fase di emergenza da COVID-19
Come sappiamo, questa norma prevede che il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa.
Il nuovo Decreto-legge ha aumentato le giornate, portandole a 12 e specificando che queste sono fruibili nei mesi di marzo e aprile 2020 (art. 24, comma 1).
Per il personale sanitario, sia pubblico che privato, però, tale diritto va necessariamente bilanciato con le esigenze organizzative delle aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale impegnati nell’emergenza COVID-19 e del comparto sanità (art. 24, comma 2)
Dottore di Ricerca in Diritto delle Relazioni di Lavoro – Università di Modena e Reggio Emilia – Fondazione M. Biagi