Di norma, quindi, un datore non può assumere e retribuire un lavoratore ponendo la sua attività a disposizione di un altro soggetto.
Il distacco è uno di quei casi eccezionali per cui il nostro ordinamento consente una dissociazione tra datore di lavoro formale (che assume il dipendente ed è titolare del rapporto) e fruitore effettivo della prestazione, purché ricorrano determinati presupposti.
Nato inizialmente nel rapporto di pubblico impiego (artt. 56 e 57, TU 10.1.1957, n. 3) sugli impiegati civili dello Stato, l’istituto del distacco (o comando) è stato riconosciuto dalla giurisprudenza solo negli anni ottanta (Cass. 4.4.1981, n. 1921), per poi essere menzionato dal legislatore solo nel 1993 (art. 8, comma 3, legge n. 236/1993) e 2000 (d.lgs. n. 72/2000 in tema di distacco internazionale).
La c.d. Legge Biagi (d.lgs. n. 276/2003) ha per la prima volta disciplinato e regolamentato tale istituto all’art. 30, norma poi integrata dal d.lgs. n. 151/2004 e dal d.l. n. 76/2013 convertito in legge n. 99/2013, codificando quei presupposti di legittimità che erano già stati precedentemente individuati dalla giurisprudenza.
Se correttamente utilizzato, tale istituto consente la messa a disposizione di alcuni dipendenti a favore di altri soggetti, soddisfacendo molteplici esigenze: creare sinergie, acquisire, trasmettere e condividere know how, realizzare progetti comuni o condivisi.
Ciò pare vantaggioso soprattutto nell’ambito dei gruppi di impresa.
Diversamente è illecito quando l’interesse del distaccante si risolve nel mero interesse a lucrare sulla fornitura di manodopera a terzi.
FATTISPECIE
Secondo l’art. 30 del d.lgs. n. 276/2003, si realizza un distacco allorché un datore di lavoro (c.d. distaccante), per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto (c.d. distaccatario) per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.
A questo punto viene a crearsi una dissociazione tra la titolarità del rapporto di lavoro (che resta in capo al distaccante) e titolarità del potere direttivo e organizzativo (trasferita totalmente o parzialmente in capo al distaccatario, che fruisce della prestazione del lavoratore).
Con il distacco, di norma, cambiano solo modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del dipendente e il soggetto che beneficia delle prestazioni dello stesso; per il resto, non si estingue l’originario rapporto di lavoro tra datore di lavoro (distaccante) e lavoratore, né sorge un nuovo rapporto tra fruitore della prestazione (distaccatario) e lavoratore.
In poche parole, un dipendente viene inviato dal proprio datore a lavorare presso un soggetto terzo, che è beneficiario della prestazione lavorativa esclusivamente rispetto a quel lavoratore oppure unitamente al datore distaccante (la giurisprudenza ammette infatti anche il distacco parziale, vedi Cass. 21.5.1998, n. 5102).
La norma in esame subordina la legittimità del distacco alla sussistenza di due elementi, che devono sussistere cumulativamente: 1) interesse del distaccante (affinché il proprio dipendente svolga attività presso il distaccatario), 2) temporaneità.
Il comma 3 specifica inoltre che è necessario il consenso del dipendente al distacco, qualora esso comporti mutamento delle mansioni presso il distaccatario, rispetto a quelle già svolte presso il distaccante. Qualora poi il distacco comporti un trasferimento presso unità produttiva distante più di 50 km rispetto a quella presso cui il dipendente è adibito, è necessario sussistano, ai fini della legittimazione, ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.
Il d.l. n. 76/2013, convertito in legge n. 99/2013 ha aggiunto il comma 4 ter all’art. 30, prevedendo che, ove il distacco avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del d.l. 10.2.2009, n. 5, convertito con modificazioni dalla legge n. 33/2009, l’interesse del distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’art. 2103 c.c. Inoltre, per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso.
PRESUPPOSTI PER LA LEGITTIMITA’ DEL DISTACCO E APPARATO SANZIONATORIO
Primo presupposto affinché possa configurarsi un distacco è l’esistenza di due soggetti giuridici distinti, ossia, secondo la definizione legislativa di cui all’art. 30 del d.lgs. n. 27672003, un datore di lavoro (che mette a disposizione un dipendente) e un altro soggetto (che beneficia di tale messa a disposizione). La norma codifica quanto da sempre affermato in giurisprudenza (Cass. 10.4.1978, n. 1684).
Secondo presupposto, che secondo la giurisprudenza è fondamentale, in quanto l’unico in grado di segnare il confine tra liceità del distacco e l’illiceità della somministrazione di manodopera, è l’interesse del datore di lavoro distaccante (Cass. 16.2.2000, n. 1733).
Circa natura e contenuto degli “interessi”, la norma nulla specifica, sicché viene in soccorso la giurisprudenza, secondo cui l’interesse deve essere lecito (Cass. 10.6.1999, n. 5721), coincidere con il soddisfacimento diretto o indiretto di concrete esigenze inerenti l’impresa distaccante (Cass. 15.5.2012, n. 7517), perdurare per tutta la durata del distacco (Cass. 3.6.2000, n. 7450).
Inoltre, l’interesse può essere anche solo parziale, purché non secondario (Cass. 21.4.1983, n. 2772), può avere natura solidaristica (Cass. 17.1.2001, n. 594) e anche fondarsi su esigenze di formazione professionale del personale presso un’altra impresa (Cass. 26.4.2006, n. 9557); non può però derivare da stabili esigenze produttive ed organizzative dell’impresa distaccante, cozzando tale elemento con la temporaneità, che è elemento fondamentale nel distacco.
Sull’interesse del distaccante il Ministero del Lavoro, con Circolare n. 3/2004, ha precisato che l’art. 30 del d.lgs. n. 276/2003 si presta ad ampia interpretazione, perciò il distacco può essere legittimato da “qualsiasi interesse produttivo” del distaccante, “che non coincida con quello della mera somministrazione di lavoro altrui”.
Perciò, sempre secondo il Ministero del Lavoro, sono ampie le possibilità di configurazione di un interesse lecito e genuino.
Diversamente, si cade nell’ipotesi di somministrazione di manodopera.
Le due fattispecie, infatti, si differenziano proprio per l’elemento dell’interesse: il somministratore realizza il solo interesse della somministrazione a fini di lucro, mentre invece, il distaccante soddisfa un interesse produttivo diversamente qualificato, come l’interesse al buon andamento della società controllata o partecipata.
Pertanto è sicuramente illegittimo il distacco quando l’interesse che il distaccante intenda soddisfare sia unicamente quello di percepire un corrispettivo o anche solo risparmiare sul costo del lavoro, trattandosi in tal caso di attività del tutto coincidente con a somministrazione di manodopera, consentita dallo stesso d.lgs. n.276/2003 solo alle agenzie per il lavoro autorizzate (Ministero del lavoro, Circolare n. 28/2005).
Vi è da precisare che comunque, sia il Ministero del Lavoro (Circolare n. 3/2004), sia la giurisprudenza (Cass. Sez. Unite 13.4.1989, n. 1751) ritengono legittimo quanto avviene di prassi, ossia che il datore di lavoro distaccante possa ottenere dal distaccatario (che beneficia della prestazione del lavoratore) un rimborso degli oneri connessi al trattamento economico del dipendente.
Tale rimborso, tuttavia, non può superare quanto effettivamente corrisposto al lavoratore dal datore di lavoro distaccante, ossia non potrà superare il costo aziendale sostenuto per il lavoratore distaccato durante il periodo di distacco. Diversamente, si cade nei casi di illecita somministrazione di manodopera.
Vi sono inoltre due casi di presunzione di esistenza di interesse previsti dalla legge:
- distacco di dipendenti da parti di datori di lavoro stipulanti accordi sindacali che prevedono il ricorso a tale strumento per evitare ricadute occupazionali (art. 8, d.l. n. 14871993, convertito in legge n. 236/1993),
- distacco di dipendenti tra imprese stipulanti contratti di rete ai sensi del d.l. n. 5/2009, convertito in legge n. 33/2009 (art. 30, comma 4 ter, inserito dal d.l. n. 76/2013, convertito in legge n. 99/2013 e Circolare del Ministero del Lavoro n. 35/2013).
Terzo presupposto che rende legittimo il distacco è la temporaneità.
Si tratta comunque di un requisito secondario rispetto a quello dell’interesse del distaccante che abbiamo analizzato in precedenza.
Temporaneità va intesa non in senso di brevità, ma di non definitività (Cass. 7.11.2000, n. 14458) e deve coincidere fra la durata del distacco e la persistenza dell’interesse del datore a che il proprio dipendente presti la propria opera a favore di un terzo (Cass. 13.6.1995, n. 6657 e Cass. 25.11.2010, n. 23933).
Perciò la temporaneità è indice della sussistenza o meno dell’unico vero requisito su cui si basa la legittimità del distacco: l’interesse del distaccante. Il distacco può durare fino a quando permane l’interesse del datore distaccante (anche anni), fermo restando la facoltà del distaccante di revocare il distacco nel rispetto dei termini e delle condizioni eventualmente pattuiti in accordi collettivi o individuali.
Quarto presupposto per il distacco, previsto sempre dall’art. 30 del d.lgs. n. 276/2003, è il consenso del lavoratore, che è necessario però solo se vi sia un mutamento delle mansioni del dipendente. Il consenso in tal caso vale a ratificare l’equivalenza delle mansioni nelle ipotesi in cui, seppur in assenza di demansionamento, vi sia una specializzazione e/o riduzione dell’attività svolta con riguardo al patrimonio professionale del dipendente.
Laddove invece il distacco non comporti mutamento di mansioni, il datore può disporre unilateralmente il distacco, nell’ambito del suo potere direttivo e organizzativo, e ciò anche se il distacco comporti trasferimento geografico del dipendente.
La stessa norma ha comunque previsto che nel caso il distacco comporti trasferimento presso un’unità produttiva sita a più di 50 km da quella a cui il lavoratore è adibito, il distacco è lecito solo se sussistano comprovate esigenze tecniche, organizzative, produttive o sostitutive. Il datore comunque non ha l’obbligo di comunicarle al lavoratore, ma dovrà provarne la sussistenza in caso di contestazione da parte del dipendente (Cass. 15.5.2004, n. 9290).
Qualora il distacco non sia genuino per carenza dei requisiti previsti dalla legge (interesse del distaccante e temporaneità), il lavoratore distaccato può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenza del distaccatario.
Il distaccatario è inoltre tenuto al pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali dovuti per il lavoratore distaccato, se questi non sono stati versati dal distaccante, nonché a porre in essere tutti gli atti per la costituzione o la gestione del rapporto per il periodo in cui il distacco ha avuto luogo, se non effettuati dal distaccante (art.30, comma 4 bis del d.lgs. n. 276/2003).
Il legislatore non ha previsto sanzioni per la violazione dell’art. 30, comma 3 del d.lgs. n. 276/2003 (mancanza del consenso del dipendente in caso di distacco implicante mutamento di mansioni e mancanza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive nel caso di distacco presso unità distante più di 50 km dalla sede del proprio datore di lavoro); secondo la giurisprudenza ciò legittima il dipendente ad opporre rifiuto al distacco o comunque ad agire in giudizio chiedendo l’accertamento dell’illegittimità del distacco e, di conseguenza, la ricollocazione presso il proprio originario posto di lavoro, oltre al risarcimento di eventuali danni patiti (Cass. 1.7.2002, n. 9530).
FORMA
L’art. 30 del d.lgs. n. 276/2003 disciplina il distacco, ma non detta alcun requisito di forma né ai fini della validità ed efficacia dello stesso, né ai fini della prova.
Tuttavia pare consigliabile la redazione di un documento scritto non solo per documentare il consenso del lavoratore in caso di mutamento di mansioni o le comprovate ragioni che giustifica un distacco presso unità produttive distanti più di 50 km, ma soprattutto per giustificare la presenza in azienda di un dipendente non assunto dal distaccatario (nel caso di ispezioni da parte del Ministero del Lavoro o INPS) e per sottolineare la sussistenza dei requisiti che rendono legittimo il distacco (interesse del distaccante e temporaneità).
Ricordiamo comunque che il datore distaccante deve comunicare entro 30 giorni al dipendente il mutamento del luogo di lavoro (art. 1 del d.lgs. n. 15271997), nonché inviare entro 5 giorni il modello Unico Lav. (Circolare 14.1.2008, n. 2 della Fondazione studi Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro). Inoltre, seppur gli obblighi assicurativi restano in capo al datore distaccante (Circolari del Ministero del Lavoro n. 3/2004 e n. 28/2005), costui deve segnalare al competente ufficio dell’INAIL i dati del dipendente distaccato per motivi legati al calcolo del premio (art. 4 bis del d.lgs. n. 181/2000).
Non è prevista alcuna formalità neppure per l’accordo tra impresa distaccante e impresa distaccataria, ma anche in questo caso è consigliabile la forma scritta, se non altro per disciplinare gli accordi economici raggiunti dalle parti relativamente ai rimborsi degli oneri connessi al distacco, il rispetto da parte del distaccatario della normativa a favore del dipendente, come ad esempio il divieto di adibirlo a mansioni diverse e dequalificanti.
IL RAPPORTO DI LAVORO DURANTE IL DISTACCO
Durante il distacco avviene una dissociazione tra la titolarità formale e quella sostanziale del rapporto. La prima rimane in capo al datore distaccante, mentre la seconda viene trasferita in capo al distaccatario.
Gli effetti della dissociazione sono riassumibili come segue.
Il distaccante è responsabile del trattamento economico e normativo (art. 30 del d.lgs.n. 27672003); inoltre egli rimane titolare sia dell’obbligo contributivo (Circolare del Ministero del lavoro n. 3/2004) sia di quello assicurativo per infortuni e malattie professionali (in tal caso, però, il premio INAIL è calcolato sulla base di premi e tariffe applicati al distaccatario, vedi Circolare del Ministero del Lavoro nn. 4 e 58/1994).
Il distaccante pone in essere ogni atto relativo alla gestione del rapporto di lavoro, come ad esempio il licenziamento e le sanzioni disciplinari (Cass. 3.8.2001, n. 10771).
Il distaccatario, invece, esercita potere direttivo e organizzativo nei confronti del dipendente, poiché quest’ultimo viene inserito nel suo ciclo produttivo e nella sua organizzazione.
Il Ministero del Lavoro, inoltre, con Circolare del 25.6.2001, ha precisato che il datore può stipulare un contratto a termine con altro dipendente per sostituire il lavoratore distaccato, nel rispetto delle norme che disciplinano i contratti a tempo determinato.
DISTACCO NEI GRUPPI DI IMPRESA
Non basta un legame tra datore distaccante e soggetto distaccatario a legittimare automaticamente il distacco di un lavoratore dall’uno all’altro; anche all’interno dei gruppi societari possono infatti verificarsi distacchi non genuini, ossia mero prestito di manodopera. E’ perciò necessaria sempre e comunque la sussistenza di due elementi: interesse del distaccante e temporaneità del distacco.
La mera appartenenza ad un gruppo non è sufficiente a configurare un interesse (Cass. 3.6.2000, n. 7450), ma è sicuramente è un elemento che facilita la sua individuazione. Si pensi, ad esempio, all’esigenza di controllo della società distaccante su una società controllata, oppure all’esigenza di assicurarsi il regolare funzionamento di quest’ultima, oppure ancora all’interesse ad uno scambio di informazioni, al perfezionamento o all’implementazione di tecnologie condivise o all’esigenza del distaccante di far acquisire al proprio personale uno specifico know how di cui la distaccata ria dispone.
Lo stesso Ministero del Lavoro ritiene sussistente l’interesse nei distacchi nei gruppi di impresa, ritenendo che l’attuale formulazione legislativa “legittimi le prassi di distacco all’interno dei gruppi di impresa, le quali corrispondano a una reale esigenza di imprenditorialità, volte a razionalizzare, equilibrandole, le forme di sviluppo per tutte le aziende che fanno parte del gruppo” (Circolare n. 37/2004, che richiama a sua volta la nota del Ministero del Lavoro dell’11.4.2001, n. 5/26183).
Avv. Annarita Bove
Dottore di Ricerca in Diritto delle Relazioni di Lavoro – Università di Modena e Reggio Emilia – Fondazione M. Biagi